Il castello di Verrès domina l’antico borgo dall’alto di un promontorio di roccia alla sinistra del torrente Evançon. Non poteva esserci luogo più adatto per un castello che, oltre al paese, volesse controllare un tratto di valle centrale, la mulattiera della valle di Challand-Ayas e quella che, passando sul fianco del Mont Carogne, unisce Verrès ad Isollaz, frazione di Challand-Saint-Victor. Quest’ultima mulattiera costituisce ancora oggi una delle vie d’accesso al castello: quella che parte dalla scalinata di piazza Emile Chanoux dove una nicchia ospita dal 1991 il busto bronzeo di Ibleto di Challant. L’altra via d’accesso è la stradina asfaltata che parte dalla zona del campo sportivo diretta verso il villaggio di Omens. Ad un certo punto la si deve però abbandonare per portarsi sulla vecchia mulattiera, un ramo della quale giunge ai piedi dei bastioni cinquecenteschi del castello nel punto dove si apre l’ingresso formato da un bel portale preceduto un tempo dal ponte levatoio principale ed affiancato ancora oggi da uno secondario riservato ai pedoni. Sul portale campeggia - tra lo stemma del conte Renato di Challant e quello che unisce le armi di Renato e di Mencia di Portogallo sua seconda moglie - un’iscrizione latina, incisa a caratteri gotici nella pietra per dirci che “nell’anno di Cristo 1536, l’illustrissimo Renato, conte di Challant, barone di Beauffremont, Virieu-le-Grand, Aymavilles e Coligny, signore di Châtillon, Saint-Marcel, Issogne, Valangin, Montalto, Graines, Verrès e Ussel, cavaliere dell’ordine dell’Annunziata e maresciallo di Savoia, questa fortezza, edificata da Ebalo di Challant, abbellì all’interno e munì all’esterno di strutture belliche”. Penetrati all’interno, si ha a sinistra il portone che immette nel parco dove si trovano le scuderie ed il cui perimetro è interamente percorso dai bastioni dotati di cannoniere. Di fronte invece una salitella porta al corpo di guardia sotto cui si trovano le prigioni. Si arriva così davanti all’ingresso vero e proprio del castello. La possente mole cubica voluta da Ibleto rivela da qui, dopo aver dominato il paesaggio durante il nostro percorso di avvicinamento, la sua perfetta muratura in blocchi di serpentina, alleggerita da finestre tra le quali spiccano le splendide bifore ogivali del primo piano. In alto l’edificio è coronato dalla caditoie e dall’opera in mattoni che, poggiando su beccatelli di pietra ed aprendosi nelle feritoie delle saettiere, protegge il cammino di ronda ricavato nello spessore del muro. A filo dello spigolo che sovrasta l’ingresso nei bastioni si aprono verso l’esterno, in corrispondenza dei vari piani, tre porte che danno nel vuoto. Collegate probabilmente da una scala di legno, erano forse una specie di uscita di sicurezza.
Entrati nel castello, ci si trova in un androne voltato a sesto acuto e sorvegliato da una botola sul soffitto, da una finestrella nella parete di fronte all’ingresso e da cinque feritoie, una delle quali ha preso il posto di una porticina di servizio. Si tratta evidentemente di un locale facente parte integrante del sistema difensivo. L’accesso all’interno è ulteriormente difeso da un doppio portale che permetteva, tra l’arco a sesto acuto e quello a tutto sesto, lo scorrimento di una saracinesca. Superata anche questa difesa, si arriva nel quadrato cortile centrale. Da qui la struttura del castello si rivela in tutta la sua razionale semplicità: una massa cubica di una trentina di metri di spigolo, forata al centro, dall’alto in basso, per dare luce agli interni e permettere all’acqua piovana, necessaria in caso di assedio, di cadere nel pozzo che si apre al centro del cortile. Da quest’ultimo uno straordinario scalone di pietra si innalza, avvolgendosi a spirale lungo le pareti interne, fino al secondo piano, servendo le parti dell’edificio destinate ai signori. Il terzo piano corrisponde al sottotetto da dove si esce, verso l’esterno, sul cammino di ronda, e, verso l’interno, su un ballatoio di legno la cui copertura funge da impluvio. Dal piano del cortile, una porta che si apre vicino all’attacco dello scalone immette nella cucina dei soldati caratterizzata da un bellissimo camino. Gli altri due lati dell’edificio sono occupati per la loro intera lunghezza su questo livello da due grandi saloni la cui volta ripete il motivo del portale che vi permette l’accesso: a sesto acuto per il salone a destra entrando nel cortile, a tutto sesto per quello a sinistra. Il salone dall’alta volta a sesto acuto presenta due straordinari camini, un passavivande dalla cucina, un collegamento nella volta col piano superiore, una porticina verso l’esterno e una feritoia che tira nell’androne d’ingresso. Si trattava probabilmente del refettorio e dell’alloggiamento dei soldati e del personale. Il salone del lato opposto, detto sala bassa, è privo di camini e dotato di due feritoie verso l’androne d’ingresso. Oggi usato come sala da ballo durante il carnevale, doveva essere un tempo l’armeria del castello. La prima porta che si incontra al primo piano reca sull’architrave carenato l’iscrizione latina in lettere gotiche per informarci che “nel 1390 il magnifico signore Ebalo, signore di Challant, Montjovet eccetera, fece costruire questo castello quando erano in vita gli egregi signori Francesco di Challant, signore di Bossonens e Châtel, e Giovanni di Challant, signore di Cossonay, suoi figli”. Ebalo, che anche l’iscrizione di Renato ricorda come costruttore del castello, è il famoso capitano di Piemonte al tempo dei tre Amedei - VI, VII ed VIII - di Savoia, più noto col diminutivo di Ibleto, nato attorno al 1330 e morto nel 1409. Le località di cui sono indicati come signori i suoi figli si trovano nella Svizzera romanda. La famiglia Challant stava infatti per giungere allora all’apice della sua potenza e qualche tempo dopo - ne è prova tra l’altro l’iscrizione di Renato - arriverà ad avere feudi e castelli non solo in Valle d’Aosta, ma anche in Piemonte, in varie zone della Francia attuale e, appunto, in Svizzera. La porta con l’iscrizione di Ibleto immette in una stanza sul cui pavimento si apre la botola che sorveglia l’androne d’ingresso. All’esterno, sul pianerottolo della scala, sotto la grande finestra a crociera, si trova, dotata di un’apertura per sorvegliare l’androne, la postazione della saracinesca che chiudeva l’ingresso al cortile. Dalla stanza della botola si passa ad una cucina caratterizzata da una piccola dispensa a muro e dalla scala che sale dal salone del pianterreno. Si arriva quindi al grande salone da pranzo, collegato alla cucina dei signori da un passavivande e riscaldato da due bracieri angolari comunicanti coi camini delle cucine adiacenti. La grande cucina destinata a preparare i pranzi dei signori presenta tre camini, di cui uno veramente monumentale, degli armadi a muro ed una intercapedine, usata come dispensa, ricavata sul lato orientale, tra il primo ed il secondo piano. La volta, che pare aver ribassato il locale della cucina, risale ai lavori voluti da Renato e ne porta al centro lo stemma. A Renato si devono anche le finestre a crociera di questo piano che guardano verso il cortile, mentre la splendida quadrifora della sala da pranzo è rimasta quella dei tempi di Ibleto. Su questo piano il lato orientale che guarda verso il parco è occupato da tre camere da letto, riscaldate naturalmente dai soliti grandi camini e dotate in tutto di cinque latrine aggettanti verso l’esterno. Altre due latrine sono presenti al piano superiore. Questo secondo piano, particolarmente danneggiato dalle intemperie nei secoli di abbandono del castello, era usato dai signori e dai loro funzionari. Dal 1983 ha ospitato per alcuni anni la mostra permanente Viaggiatori stranieri in Valle d’Aosta. Il castello di Verrès visse i suoi momenti gloriosi ai tempi di Ibleto che lo aveva voluto a dimostrazione della propria potenza. La forza dei suoi apparati bellici ebbe modo di manifestarsi, ma solo marginalmente, alla metà del Quattrocento, al tempo delle lotte per l’eredità del conte Francesco di Challant, che opposero la figlia Caterina ed il marito Pierre d’Introd ai parenti ed al duca di Savoia. Una seconda tormentata successione - quella al conte Renato nel 1565 .- provocò il passaggio del castello ai Savoia che vi posero una guarnigione rimastavi fino al 1661, quando il castello fu abbandonato ed i suoi cannoni trasferiti al forte di Bard. Gli Challant ne tornarono in possesso nel 1696, nella persona di Francesco Gerolamo del ramo di Châtillon, ma, per mancanza di mezzi, lasciarono che continuasse ad andare in rovina. Alla morte dell’ultima contessa di Challant, nel 1841, il castello passò ai Passerin d’Entrèves fino al 1858. Quindi, dopo diversi altri passaggi di proprietà, fu acquistato - grazie ad Alfredo d’Andrade sovrintendente ai Monumenti del Piemonte e della Liguria - dallo Stato italiano che, nel 1894, ne iniziò i restauri. Il grosso dei lavori - in particolare la ricostruzione di tutte le parti in legno ed il rifacimento del coronamento sommitale - avvenne nel periodo fra le due guerre mondiali. All’inizio del secondo dopoguerra il castello è passato alla Regione Valle d’Aosta e nei primi anni 80 ne è stata rifatta la copertura in lastre di pietra - le “lose” - del tetto, e, nel 1994, si è cominciato ad eliminare dai muri interni le incrostazioni di calcare prodotte dalle intemperie nei secoli in cui il castello era stato abbandonato.
La sala da panzo del pian terreno
Passavivande e braciere angolare
Camino e dispensa
Soffitto di una cucina
Il cammino di ronda
Vista del cortile quadrato
Il pozzo
La quadrifora
Vista del castello dal parco
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